Storia di Carlos Schelini
La storia di Carlos con l’Italia ha inizio dal suo cognome, o meglio da come si pronuncia. La pronuncia storpiata di alcune lettere che caratterizzano questo cognome tutto italiano, lo infastidiva. Poi, con il passare del tempo, quando ha iniziato ad avere contatti con la cultura italiana, ha capito il perché di molte sue caratteristiche e piaceri.
Intervista di Débora Coldibelli
– Ciao Carlos. Iniziamo subito con le domande. Ci racconti com’è iniziata la tua storia con l’Italia? Quando e perché hai iniziato ad interessarti all’Italia, alla lingua italiana?
- La mia storia con l’Italia inizia dal mio cognome difficile da pronunciare. Attraverso il mio cognome ho capito che la mia origine era di un luogo diverso, perché il cognome Schelini, con la S, C e H, per i brasiliani è difficile da pronunciare, quindi diventa xelini. Questa pronuncia sbagliata mi ha sempre infastidito, fin dalla mia infanzia. Questo mi ha sempre attratto e mi chiedevo da dove veniva.
– Hai sempre saputo come si pronunciava correttamente? La tua famiglia ha sempre pronunciato in modo corretto?
- Sì. E siamo sempre stati molto orgogliosi di questo cognome perché sappiamo che è conosciuto in città. Per esempio, mio nonno che si chiamava Carlos anche lui, è stato lo Schelini con cui ho avuto più contatto, anche se l’ho conosciuto poco perché è morto quando io ero bambino. So che era un medico ben voluto in città. Si era trasferito nell’entroterra ed era il dottor Carlos Schelini. Quindi, io ero orgoglioso di avere questo cognome che rimandava a una persona che aveva studiato, che era rilevante ed è stata una persona che si è impegnata per la comunità. Aveva studiato alla USP negli anni ’40 e poi si è trasferito nell’entroterra di San Paolo. Riceveva le persone con grande affetto, era molto umano. Aveva anche delle idee progressiste per quegli anni. Parlava alle persone spiegando i loro diritti, era un medico come dev’essere, attento e studioso. Quindi, durante l’infanzia e l’adolescenza, io sapevo solamente che il cognome era italiano e che mio bisnonno era arrivato dall’Italia, ma non si sono mai occupato di questo, della storia. Mi sentivo orgoglioso ed era bello sentire la pronuncia del mio cognome. Ma poi è arrivato internet e ho iniziato a cercare il cognome in Google e lì ho iniziato a ricercare la mia origine. Ora, se devo dire qual è stato il primo vero approccio, è stato con la cittadinanza perché siamo rimasti per 11 anni nelle liste del consolato.
– Conoscevi già la storia della tua famiglia quando hai iniziato a cercare i documenti per dare inizio al processo di cittadinanza? O l’hai scoperta attraverso questa ricerca?
- Nella mia famiglia, la storia che si raccontava era che il mio bisnonno era venuto da solo. Era un giovane medico di circa vent’anni che aveva studiato in Italia e poi ha deciso di venire in Brasile. Durante il viaggio ha conosciuto la mia bisnonna che era una giovane ragazza e poi si sono sposati, qui in Brasile. Sono andati a vivere nella regione di Bauru, in una piccola città chiamata Dois Córregos e hanno avuto 9 figli. Chi ha preso l’iniziativa di avanzare con il processo di riconoscimento della cittadinanza sono stati alcuni miei cugini. Loro mi informavano, ma io non avevo molto interesse. Sapevo che il mio bisnonno partì da Potenza Picena. Un giorno ho fatto delle ricerche in internet e ho scoperto che ad Ancona esiste un palazzo, nella piazza principale, che si chiama Palazzo Schelini. Questo palazzo è pastrimonio storico e apparteneva a Domenico Schelini e Albina Santina, i miei trisnonni. Io stesso mi emoziono quando penso a questo.
– Ci sei già stato?
- Sì, quando sono stato in Italia, dopo aver fatto il tour della Sicilia con Giulia e Dario, Itália dos italianos, ho deciso di andare in questo palazzo e ci sono rimasto una settimana. Una persona molto ricca l’ha comprato e ora si chiama Palazzo Schelini Suites. È tutto rimodellato e le pareti sono molto antiche, dicono che sono di quell’epoca.
– Deve essere stata un’esperienza incredibile.
- Indimenticabile. Ho passato la prima notte in bianco. Non è stato facile capire che mi trovavo dove avevano vissuto i miei trisnonni. Ho avuto quasi paura nell’essere lì, in quel palazzo dove 200 anni prima, proprio lì si discuteva della nascita della nuova Italia. Esistono dei registri in cui si narra che in quel palazzo avvenivano delle riunioni della Giovane Italia.
– E come hai conosciuto Giulia? Quando è iniziato il tuo interesse per la lingua italiana?
- In realtà penso di aver conosciuto Giulia attraverso Dario e poi ho guardato un vecchio video di Giulia e lì ho preso una sberla in faccia. “Sveglia”, mi sono detto, “io sono un italiano nato in Brasile”. In quel momento ho capito il mio amore per l’estetica, per le comodità, non è una bellezza sofisticata, è solo una bellezza per la semplicità, per il piacevole. Com’è bella la pace, questa vita calma e tranquilla. Vedendo quella conferenza, ho capito che tante cose che io faccio, sono tipiche degli italiani. Per esempio, l’importanza del cibo: se decidi ti vederti con gli amici, la preoccupazione è cosa mangiamo. Inoltre, più di tutto, io vedo che tutto quello che viene dall’Italia è bello. Se compro un pacchetto di pasta, guardo la confezione, come la fanno bene. Gli italiano provano amore per la bellezza, ogni borgo ha orgoglio della propria origine, della storia e questo è meraviglioso. Io sono così.
– In che hanno sei stato riconosciuto come italiano?
- Nel 2022.
– Studiavi già italiano?
- Ho iniziato a studiare la lingua italiana dopo essere stato riconosciuto perché mi sono detto: “Aspetto un attimo…io sono italiano, com’è possibile che io non parli italiano? Come comunico?”. E poi ho iniziato a pensare alla possibilità di vivere in Italia quando andrò in pensione. Mancano 10 anni alla pensione e mi sono detto perché non darmi l’opportunità di vivere in Europa, da dove ho origine e dove io appartengo. Effettivamente, io non emigro, io torno a casa e questo è diventato il punto di svolta. Dopo aver assistito alla conferenza di Giulia e avere conosciuto lei e Dario, questo è diventato un progetto. Tra 10 anni io voglio vivere in Italia, ma non voglio essere un pensionato che vive là senza fare nulla; io voglio fare qualcosa per l’Italia, di fare del volontariato, qualsiasi attività produttiva per integrarmi.
– Durante il viaggio in Italia, parlavi già italiano?
- No, avevo iniziato il corso un mese prima.
– Quindi, ancora non comunicavi bene. Com’è stata questa esperienza?
- Io me la cavo bene con gli accenti, ma non sapevo le parole e questo è stato un problema. Giulia mi ha insegnato qualche trucchetto del tipo: “Scusi, non sono di qui”, “studio la lingua italiana”. Questo aiuta tantissimo! Ti apre le porte e loro rispondo “Ah, sì, chiaro!”
– Che cosa hai provato in relazione alla lingua?
- È stato un po’ frustrante. Quando sono andato in comune e ho incontrato il sindaco e l’avvocato, non poter comunicare con loro fluentemente, è stato orribile. Mi hanno accolto così bene e io non riuscivo a esprimermi come volevo. Pensati che mi hanno portato in una sala in cui le persone del comune si riuniscono. Mi sono emozionato, ho pianto e poi ho detto loro che la prossima volta che tornerò, comunicherò in italiano. Ho capito che per me è fondamentale parlare italiano, è qualcosa che io voglio e non di cui ho bisogno. Perché io mi sento italiano, ho il documento, ho questo sentimento di appartenenza, mi manca solo la lingua.
– E ora qual è il tuo progetto riguardante lo studio della lingua? Hai già detto che vuoi venire a vivere qui in Italia tra 10 anni, ma pensi di tornarci prima?
- Allora, volevo tornare in Italia a maggio, ma poi ho deciso di venire a dicembre per fare il viaggio Itália dos italianos nelle Dolomiti. Non sono una persona che ama molto l’inverno, ma voglio conoscere il nord Italia e quale migliore occasione se non viaggiare con Giulia e Dario? Perché fare parte di un viaggio organizzato è diverso. Il mio progetto è questo: una volta all’anno, voglio passare 15-20 giorni in Italia perché voglio vivere queste emozioni e voglio integrarmi. Sto studiando tanto, sto cercando di leggere il più possibile, scrivere delle cose nel corso, ascoltare notizie, ecc.
– Che bello! In relazione alla lingua, allo studio della lingua, al corso di per sé, hai sentito delle difficoltà, ti ha sorpreso?
- Pensavo che l’online non funzionasse perché io volevo vedere il professore, ma poi ho capito che non sono il tipo di persona che si compromette ad andare in un luogo, rispettare gli orari, rimanere lì fermo. Mi piace avere flessibilità, scegliere l’ora che posso studiare, posso mettere in pausa, rivedere nuovamente. La libertà che l’online mi dà è fantastica: posso rivedere il video quanto mi pare, posso, per esempio, ascoltare mentre guido, posso rifare gli esercizi. Quindi, in realtà, mi adatto molto di più a qualcosa che io posso comandare, organizzare secondo il mio ritmo e ho scoperto questo proprio seguendo il corso di Giulia. Questa possibilità di poter scegliere se voglio studiare mezz’ora o due ore, per me, non ha prezzo. È sensazionale! Questa è libertà, è comfort. Sinceramente non mi considero uno studente che riesce ad affrontare una conversazione senza problemi; ho ancora difficoltà a raccontare tutto, ma non è colpa del corso, ma è mia perché non mi sono concentrato nello studio. Tuttavia, sono fiducioso che a breve parlerò italiano, ma io devo fare la mia parte. Il Noi studenti dobbiamo lavorare, ovviamente.
– Se potessi tornare indietro che consiglio daresti al tuo io del passato?
- Studia italiano, parla italiano perché è fondamentale. Penso che la lingua porti con sé l’intera cultura, tutto l’amore per il paese, il modo di essere, l’intonazione, la pronuncia e il modo di essere italiano. Quindi, mi pento di averci pensato solo ora. Se potessi darmi un consiglio, sarebbe: studia l’italiano. La lingua, il linguaggio, quando la integri, ti regala tanto: tutto il sentimento che quella pronuncia provoca, il significato di quella parola perché è intraducibile.
– Carlos grazie per questa chiacchierata. È stato interessante conoscere la tua storia, quella della tua famiglia e dell’Italia!